Dal centro studi di Sistema moda Italia giungono notizie confortanti: il tessile, dopo due anni di crisi, è tornato a crescere. Un trend positivo in generale che parla anche di una buona crescita delle esportazioni. C’è però un filo invisibile che unisce le piccole aziende italiane: è la crisi occupazionale. Come in Campania, dove nel distretto tessile di San Marco dei Cavoti e del Fortore hanno perso il lavoro 1100 persone. L'80% delle aziende ha chiuso. da La Nuova Regione
In occasione di Milano Unica, il salone italiano del tessile che si è svolto a febbraio, Sistema Moda Italia ha diffuso i dati relativi al 2010 e i primi riscontri del 2011. Secondo il Centro studi della Federazione nel 2010 la tessitura,dopo due anni di durissima crisi, ha visto il fatturato crescere dell’11,8% sul 2009 (per un totale di circa 7,5 miliardi di euro), consentendo un surplus commerciale positivo di oltre 2,36 miliardi di euro. Tutti i comparti di cui si compone la tessitura hanno beneficiato della mutata congiuntura: fatta eccezione per la tessitura serica, che mostra una dinamica certo soddisfacente ma inferiore al +10%.
Nel comparto di certo si respira un’aria diversa rispetto al periodo pre-crisi, ammettono da SMI: il riavvio delle attività produttive non è stato sufficiente a colmare il gap e non sono mancate frizioni sul mercato del lavoro. Contrazioni dell’occupazione si sono registrate soprattutto nella prima parte dell’anno.
L’industria italiana della tessitura pare abbia ritrovato, prima di altri settori, condizioni di normalità ma preoccupa ancora il rialzo dei prezzi delle materie prime tessili.
Il recupero della filiera è stato favorito, secondo i dati forniti da SMI, da un andamento positivo delle
esportazioni che nel 2010 sono cresciute dell’11,6 % rispetto all’anno precedente. E’ la Germania il primo mercato di sbocco per i tessuti italiani (11,8% dell’export totale). Seguono Francia e Spagna che hanno segnato un incremento, rispettivamente, del +9% e del +12,8%. I tessuti esportati nel mercato cinese, dopo la battuta d’arresto del 2009, risultano in crescita del +24,9% mentre negli Usa, dopo un crollo del -46,1% nei primi mesi del 2009, le vendite hanno superato i 110 milioni di euro con un’inversione del +13,1%.
Sul fronte dell’import troviamo invece in prima linea la Cina, che è passata da 309 milioni del 2009 a 431 nel 2010 con un tasso di crescita del +40%. Segue, a distanza, la Turchia che ha evidenziato un recupero del +12,4% ma assicura comunque meno della metà dell’import di tessuti provenienti dalla Cina.
La radioattività è un nuovo pericolo per il settore viste le ultimissime notizie che ci giungono dal Giappone. Il totale del tessile importato è pari 4 mila tonnellate (un giro d’affari di 101 milioni di euro) e il volume dell'abbigliamento “made in Japan” raggiunge le 105 tonnellate per un valore di 9,4 milioni di euro.
Quanto ai posti di lavori, la preoccupazione è diffusa in tutta la Penisola. Per Silvana Cappuccio, della Filctem Cgil, «penalizzata è soprattutto l’occupazione femminile dal momento che il settore occupa manodopera femminile che in alcuni punti della produzione raggiunge persino l’80%». La critica della Cgil è diretta alla mancanza di iniziative da parte delle istituzioni: «Si ha ben dire da Lisbona in poi che bisogna favorire l’occupazione femminile di qualità e di quantità quando poi di fatto invece non si predispone nessuna politica industriale o di sostegno per una risorsa occupazionale che è un pilastro del mady in Italy».
Per il sindacato un po’ tutte le regioni stanno ancora vivendo la crisi: «Insieme al meridione – afferma Silvana Cappuccio - adesso ci sono anche l’Emilia Romagna, la Lombardia, abbiamo dati che parlano di circa 25mila addetti all’anno in meno tutti in piccole e piccolissime aziende».
Segnali di sofferenza giungono in effetti da piccole realtà industriali. Se è risaputa la difficile convivenza nella zona di Carpi dove la manodopera cinese a basso costo ha messo in crisi le fabbriche locali,
Sul fronte dell’import troviamo invece in prima linea la Cina, che è passata da 309 milioni del 2009 a 431 nel 2010 con un tasso di crescita del +40%. Segue, a distanza, la Turchia che ha evidenziato un recupero del +12,4% ma assicura comunque meno della metà dell’import di tessuti provenienti dalla Cina.
La radioattività è un nuovo pericolo per il settore viste le ultimissime notizie che ci giungono dal Giappone. Il totale del tessile importato è pari 4 mila tonnellate (un giro d’affari di 101 milioni di euro) e il volume dell'abbigliamento “made in Japan” raggiunge le 105 tonnellate per un valore di 9,4 milioni di euro.
Quanto ai posti di lavori, la preoccupazione è diffusa in tutta la Penisola. Per Silvana Cappuccio, della Filctem Cgil, «penalizzata è soprattutto l’occupazione femminile dal momento che il settore occupa manodopera femminile che in alcuni punti della produzione raggiunge persino l’80%». La critica della Cgil è diretta alla mancanza di iniziative da parte delle istituzioni: «Si ha ben dire da Lisbona in poi che bisogna favorire l’occupazione femminile di qualità e di quantità quando poi di fatto invece non si predispone nessuna politica industriale o di sostegno per una risorsa occupazionale che è un pilastro del mady in Italy».
Per il sindacato un po’ tutte le regioni stanno ancora vivendo la crisi: «Insieme al meridione – afferma Silvana Cappuccio - adesso ci sono anche l’Emilia Romagna, la Lombardia, abbiamo dati che parlano di circa 25mila addetti all’anno in meno tutti in piccole e piccolissime aziende».
Segnali di sofferenza giungono in effetti da piccole realtà industriali. Se è risaputa la difficile convivenza nella zona di Carpi dove la manodopera cinese a basso costo ha messo in crisi le fabbriche locali,
in altre zone della Penisola la chiusura degli stabilimenti e la cassa integrazione non fanno notizia. Come in Campania, dove il distretto tessile di San Marco dei Cavoti, in provincia di Benevento, sta vivendo un momento difficile: l’80% delle aziende ha chiuso e hanno perso il lavoro 1100 persone. Un dato allarmante se si considera che il comprensorio del Fortore conta solo 50.000 abitanti. Il sindacato ha chiesto alle forze politiche di individuare misure a sostegno dell’imprenditoria locale.
A San Leucio, in provincia di Caserta, i produttori della seta stanno attraversando l’ennesima crisi dopo quella di fine anni Novanta, quando il mercato asiatico conquistò spazi sempre più grandi grazie ai bassissimi costi di produzione. Ridotte ormai a poche unità, le fabbriche del distretto sono oggetto di un accordo per restituire al luogo lo status di polo d’eccellenza per la produzione di seta. Filature pregiate, volute da Ferdinando IV di Borbone, entrate nei palazzi reali di tutta Europa e poi in Vaticano, al Quirinale, nella Casa Bianca fino al Cremlino e a Buckingham Palace.
In Abruzzo sono oltre mille i posti di lavoro persi nell'ultimo anno e mezzo; vittime dei licenziamenti soprattutto le donne (circa 800). Anche nelle Marche la Confindustria ha confermato la difficoltà del comparto.
Se nel complesso la filiera ha fatto registrare segnali positivi e un ritorno alla normalità, prima di altri comparti, non è da sottovalutare il fatto che esistono ancora fili, troppo spesso invisibili ai più, che rischiano di spezzarsi: le piccole, piccolissime aziende. Fili sottili ma che contano nella grande “matassa” industriale.
A San Leucio, in provincia di Caserta, i produttori della seta stanno attraversando l’ennesima crisi dopo quella di fine anni Novanta, quando il mercato asiatico conquistò spazi sempre più grandi grazie ai bassissimi costi di produzione. Ridotte ormai a poche unità, le fabbriche del distretto sono oggetto di un accordo per restituire al luogo lo status di polo d’eccellenza per la produzione di seta. Filature pregiate, volute da Ferdinando IV di Borbone, entrate nei palazzi reali di tutta Europa e poi in Vaticano, al Quirinale, nella Casa Bianca fino al Cremlino e a Buckingham Palace.
In Abruzzo sono oltre mille i posti di lavoro persi nell'ultimo anno e mezzo; vittime dei licenziamenti soprattutto le donne (circa 800). Anche nelle Marche la Confindustria ha confermato la difficoltà del comparto.
Se nel complesso la filiera ha fatto registrare segnali positivi e un ritorno alla normalità, prima di altri comparti, non è da sottovalutare il fatto che esistono ancora fili, troppo spesso invisibili ai più, che rischiano di spezzarsi: le piccole, piccolissime aziende. Fili sottili ma che contano nella grande “matassa” industriale.
Loredana Zarrella
22/03/2011
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