Non è un normale contenzioso d'arte quello che riguarda le nove preziose opere, tra tavole e tele, di Gesualdo. Chi ora le possiede e chi le ha possedute finora vorrebbe restituirle. Il patto è semplice e onesto: rendere la sede originaria che le conteneva, ossia la Chiesa di Sant’Antonino, idonea ad ospitarle. Le nove opere sono ora esposte con grande garbo e magnificenza nel Museo diocesano di Nusco, aperto il 4 ottobre scorso. Prima di allora erano ad Atripalda nella Dogana dei Grani che le ha prese in custodia a partire dal terremoto del 1980. In questo spazio museale la Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici di Salerno e Avellino ha provveduto al restauro e alla conservazione di queste e molte altre opere recuperate in Irpinia dopo la furia del sisma.
Trenta anni dopo, dal restauro conservativo si è passati alla volontà di dare una visibilità maggiore a quei magnifici manufatti artistici. Così diverse opere d'arte, tra dipinti e statue, sono passate dalla Dogana al Museo dell'Arcidiocesi di Sant'Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia. Un passaggio di proprietà seguito con grande cura dalla Soprintendenza che ha garantito la perfetta collocazione di tutti gli oggetti di arte sacra. Sotto l'imperscrutabile sorveglianza dei paladini istituzionali dell'arte le stanze dell'ex palazzo vescovile si sono trasformate in una casa-museo perfettamente idonea a contenere tele, paramenti sacri, ceramiche, ostensori, patene, pissidi, calici, reliquari d'argento.
Trenta anni dopo, dal restauro conservativo si è passati alla volontà di dare una visibilità maggiore a quei magnifici manufatti artistici. Così diverse opere d'arte, tra dipinti e statue, sono passate dalla Dogana al Museo dell'Arcidiocesi di Sant'Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia. Un passaggio di proprietà seguito con grande cura dalla Soprintendenza che ha garantito la perfetta collocazione di tutti gli oggetti di arte sacra. Sotto l'imperscrutabile sorveglianza dei paladini istituzionali dell'arte le stanze dell'ex palazzo vescovile si sono trasformate in una casa-museo perfettamente idonea a contenere tele, paramenti sacri, ceramiche, ostensori, patene, pissidi, calici, reliquari d'argento.
Tra questi, appunto, alcune opere commissionate nei secoli scorsi per abbellire la Chiesa di S.Antonino a Gesualdo: la tavola del XVII sec. raffigurante San Ciriaco diacono e martire, la tela del XVIII sec. con la Divina Pastora; due tele di Giovanni Battista de Mari: la «Madonna del Carmelo tra i santi Giuseppe, Tommaso, Andrea e Lucia» (1766) e la «Madonna di Montevergine» (1767); il trittico «Madonna con Bambino tra Sant'Antonino martire e San Giovanni Battista» attribuito al Maestro di Gesualdo (1534); il dittico, attribuito a Bartolomeo di Niccolò Guelfo da Pistoia, con le due tavole ad olio, e doratura, raffiguranti San Nicola e San Giovanni Battista. Un polittico (1508), quest'ultimo, probabilmente composto in origine da più di due tavole, vista la posizione delle figure.
L'esposizione nel museo di Nusco è impeccabile ma non ottimale come sarebbe la ricollocazione nella sede originaria, nella chiesa di Sant’Antonino, fatta erigere da Nicolò Ludovisi nel 1642 in memoria della seconda moglie Polissena Mendoza. Una chiesetta ora chiusa al culto dei fedeli e il cui titolo parrocchiale era un tempo legato a un altro antico edificio. Oggi è sede della Fondazione Carlo Gesualdo, presieduta dal notaio Edgardo Pesiri. Circa quattro anni fa il Centro internazionale di studi, ricerche e documentazione fece richiesta di restituzione dei quadri alla Dogana di Atripalda. Dal sopralluogo tecnico che ne seguì emerse che Sant’Antonino non aveva i requisiti di sicurezza e di conservazione necessari: mancava un sistema di allarmi e, soprattutto, c'era un problema di umidità sulla parete absidale. Ostacoli mai superati per mancanza di fondi. In tempo di tagli e attribuzioni non uniformi di risorse statali ai beni culturali di Regioni e Province, di non facile soluzione si prospetta la nuova operazione di salvaguardia.
Di certo appare ora di grande dignità e importanza la custodia del Museo diocesano di Nusco. Nelle sale espositive che ripercorrono la storia delle antiche diocesi, tra gli stemmi dei vescovi dipinti dalla restauratrice del laboratorio, non ci sono solo opere restaurate ma anche manufatti ancora da curare. Statue senza naso, dalla ruvida superficie, da risanare, tele a cui ridar luce, con lo stesso slancio con cui Don Tarcisio Gambalonga, direttore del Museo, va alla ricerca, insieme agli enti preposti, dell'immenso patrimonio di arte sacra ancora sommerso, da strappare all'incuria e all'abbandono. Dopo il terremoto molte opere vennero trasferite, di fretta e senza essere catalogate, dalle Chiese ai depositi. Molte informazioni vennero perse e ancora oggi risulta difficile attribuire un autore a una tela o, addirittura, risalire al luogo originario che le custodiva. Ne è un esempio il «Cristo risorto» del XVI secolo, tela di magnifica fattura, esposta nel museo prima ancora di essere studiata e riportata al suo originario splendore. Come questa tanti altri oggetti sacri, molti di più rispetto a quelli esposti, attendono nel laboratorio di Nusco un passaggio importante: dal buio alla luce, dall'ignoto alla verità. © RIPRODUZIONE RISERVATA
L'esposizione nel museo di Nusco è impeccabile ma non ottimale come sarebbe la ricollocazione nella sede originaria, nella chiesa di Sant’Antonino, fatta erigere da Nicolò Ludovisi nel 1642 in memoria della seconda moglie Polissena Mendoza. Una chiesetta ora chiusa al culto dei fedeli e il cui titolo parrocchiale era un tempo legato a un altro antico edificio. Oggi è sede della Fondazione Carlo Gesualdo, presieduta dal notaio Edgardo Pesiri. Circa quattro anni fa il Centro internazionale di studi, ricerche e documentazione fece richiesta di restituzione dei quadri alla Dogana di Atripalda. Dal sopralluogo tecnico che ne seguì emerse che Sant’Antonino non aveva i requisiti di sicurezza e di conservazione necessari: mancava un sistema di allarmi e, soprattutto, c'era un problema di umidità sulla parete absidale. Ostacoli mai superati per mancanza di fondi. In tempo di tagli e attribuzioni non uniformi di risorse statali ai beni culturali di Regioni e Province, di non facile soluzione si prospetta la nuova operazione di salvaguardia.
Di certo appare ora di grande dignità e importanza la custodia del Museo diocesano di Nusco. Nelle sale espositive che ripercorrono la storia delle antiche diocesi, tra gli stemmi dei vescovi dipinti dalla restauratrice del laboratorio, non ci sono solo opere restaurate ma anche manufatti ancora da curare. Statue senza naso, dalla ruvida superficie, da risanare, tele a cui ridar luce, con lo stesso slancio con cui Don Tarcisio Gambalonga, direttore del Museo, va alla ricerca, insieme agli enti preposti, dell'immenso patrimonio di arte sacra ancora sommerso, da strappare all'incuria e all'abbandono. Dopo il terremoto molte opere vennero trasferite, di fretta e senza essere catalogate, dalle Chiese ai depositi. Molte informazioni vennero perse e ancora oggi risulta difficile attribuire un autore a una tela o, addirittura, risalire al luogo originario che le custodiva. Ne è un esempio il «Cristo risorto» del XVI secolo, tela di magnifica fattura, esposta nel museo prima ancora di essere studiata e riportata al suo originario splendore. Come questa tanti altri oggetti sacri, molti di più rispetto a quelli esposti, attendono nel laboratorio di Nusco un passaggio importante: dal buio alla luce, dall'ignoto alla verità. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Loredana Zarrella
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