«Guarino, un'altra occasione perduta»
Lattuada e l'anniversario del pittore: «Avrebbe meritato una grande mostra in Irpinia»
DAL MATTINO DI AVELLINO 23 ottobre 2011
Loredana Zarrella
Sarà una conferenza itinerante la nuova occasione per celebrare, a Solofra, il quarto centenario della nascita di Francesco Guarino, uno dei più grandi pittori del Seicento meridionale. L'appuntamento è per oggi alle 15, davanti alla Collegiata di San Michele, da dove partirà una visita guidata d'eccezione, tenuta da Riccardo Lattuada, docente di Storia dell'arte moderna alla Seconda Università degli Studi di Napoli, autore di un libro («Francesco Guarino nella pittura napoletana nel 1600», Paparo editore) che ha contribuito a tenere alta l'attenzione sul pittore barocco nato a Solofra il 19 gennaio 1611 ma attivo anche a Napoli, Roma e Gravina in Puglia, dove morì il 23 novembre del 1651. Lezioni speciali, dunque, con spostamenti in navetta, per ammirare le opere del Guarino nella Collegiata di San Michele e nelle chiese di San Domenico, di Santa Teresa, di Sant'Andrea e Sant’Agata.
Lattuada, allora si sta riscoprendo Guarino come pittore importante dell'epoca barocca?
«Guarino fa parte non solo della gloria locale ma è anche un autore con una statura elevata nel panorama della pittura napoletana del Seicento che, non solo in Italia, era una grande pittura. Guarino rimane ancora il pittore paesano montanaro, in verità è stato un pittore di portata nazionale che nel regno di Napoli del Seicento significava essere internazionali, ha fatto parte della temperie culturale più importante di tutti i tempi.
Certo adesso è difficile fare una mostra sul Seicento napoletano senza ricordare che esiste questo pittore ma ora, secondo me, Guarino non ha ancora avuto quello che meritava. E’ stato un pittore brillante, pieno di forza, non è stato solo un epigono, allievo di Stanzione, ma autonomo, con una sua autonomia artistica».
Dunque, bisogna tenere alta l'attenzione su Guarino: ma come si sta celebrando questa ricorrenza?
«Cercheremo di onorare il pittore con questa conferenza itinerante perché credo molto nel fatto che la comunità in cui è sorta questa figura e le sue opere siano ancora il principale referente ma è chiaro che sono amareggiato, avrei sperato in una celebrazione più importante. Avevo proposto di fare una mostra con le opere che ci sono in giro per il mondo, non sono pochissime e sono anche molte belle; nel 2008-2009 avevo avvertito gli enti locali di fare in fretta ma poi, evidentemente, la crisi ha impedito questa possibilità. Le nuove opere, esposte in un luogo insigne come il Carcere borbonico, avrebbero fatto da complemento a quelle di Solofra e Serino».
Un'occasione sfuggita?
«Nel piccolo le cose si sono fatte, a me sarebbe però piaciuto celebrarlo in grande. Fra quarant'anni, quando ricorrerà l'anniversario della sua morte, toccherà a qualcun altro fare quello che non siamo riusciti a fare per questo 2011. Ci sono cose che rimangono nel tempo come i convegni, pure importanti, e altre che rimangono di più come un catalogo di studi. E' così, con le ricerche, che la storia dell'arte celebra questi avvenimenti. Intanto, come me, anche altri professori, come Mario Alberto Pavone dell'Università di Salerno, stanno tendendo alta l'attenzione su Guarino».
Una vita breve quella di Guarino, ma molto intensa. Quali possono essere considerati i suoi capolavori?
«Di sicuro i dipinti del transetto della Collegiata di San Michele restano tra i suoi capolavori. Alcuni ricercatori dell'Università di Salerno hanno poi trovato dipinti importanti nell'area serinese, come Maria Cristina Giannattasio e Simona Carotenuto, allieve del professor Mario Alberto Pavone, scopritrici di due inediti dipinti.
Le cose più importanti di Guarino, pittore di uno standard elevatissimo, sono anche quelle che ha fatto per la famiglia Orsini, tra Gravina, Napoli, Solofra».
Le opere in giro per il mondo?
«Sono tante e dopo anni di ricerche sono molto più note di prima. Ci sono opere in America, a Puerto Rico, in Inghilterra, in Germania, dove in Baviera, a Pommersfelden, sono conservate le due storie di Giacobbe. Ci sono inoltre collezioni private internazionali e tantissime cose sono uscite ultimamente anche sul mercato. Sarebbe stato bello, ripeto, poter ammirare tutte queste opere in uno spazio espositivo di prestigio, qui in Irpinia. E' ovvio che queste cose non vanno organizzate nello spazio di un mattino ma esigono una programmazione. Nessuno presta un'opera senza una richiesta precisa fatta nei tempi giusti. Guarino, come tante altre cose, sconta l'attuale disorientamento che c'è in tutto ciò che in Italia si chiama amministrare la cosa pubblica».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
«Guarino fa parte non solo della gloria locale ma è anche un autore con una statura elevata nel panorama della pittura napoletana del Seicento che, non solo in Italia, era una grande pittura. Guarino rimane ancora il pittore paesano montanaro, in verità è stato un pittore di portata nazionale che nel regno di Napoli del Seicento significava essere internazionali, ha fatto parte della temperie culturale più importante di tutti i tempi.
Certo adesso è difficile fare una mostra sul Seicento napoletano senza ricordare che esiste questo pittore ma ora, secondo me, Guarino non ha ancora avuto quello che meritava. E’ stato un pittore brillante, pieno di forza, non è stato solo un epigono, allievo di Stanzione, ma autonomo, con una sua autonomia artistica».
Dunque, bisogna tenere alta l'attenzione su Guarino: ma come si sta celebrando questa ricorrenza?
«Cercheremo di onorare il pittore con questa conferenza itinerante perché credo molto nel fatto che la comunità in cui è sorta questa figura e le sue opere siano ancora il principale referente ma è chiaro che sono amareggiato, avrei sperato in una celebrazione più importante. Avevo proposto di fare una mostra con le opere che ci sono in giro per il mondo, non sono pochissime e sono anche molte belle; nel 2008-2009 avevo avvertito gli enti locali di fare in fretta ma poi, evidentemente, la crisi ha impedito questa possibilità. Le nuove opere, esposte in un luogo insigne come il Carcere borbonico, avrebbero fatto da complemento a quelle di Solofra e Serino».
Un'occasione sfuggita?
«Nel piccolo le cose si sono fatte, a me sarebbe però piaciuto celebrarlo in grande. Fra quarant'anni, quando ricorrerà l'anniversario della sua morte, toccherà a qualcun altro fare quello che non siamo riusciti a fare per questo 2011. Ci sono cose che rimangono nel tempo come i convegni, pure importanti, e altre che rimangono di più come un catalogo di studi. E' così, con le ricerche, che la storia dell'arte celebra questi avvenimenti. Intanto, come me, anche altri professori, come Mario Alberto Pavone dell'Università di Salerno, stanno tendendo alta l'attenzione su Guarino».
Una vita breve quella di Guarino, ma molto intensa. Quali possono essere considerati i suoi capolavori?
«Di sicuro i dipinti del transetto della Collegiata di San Michele restano tra i suoi capolavori. Alcuni ricercatori dell'Università di Salerno hanno poi trovato dipinti importanti nell'area serinese, come Maria Cristina Giannattasio e Simona Carotenuto, allieve del professor Mario Alberto Pavone, scopritrici di due inediti dipinti.
Le cose più importanti di Guarino, pittore di uno standard elevatissimo, sono anche quelle che ha fatto per la famiglia Orsini, tra Gravina, Napoli, Solofra».
Le opere in giro per il mondo?
«Sono tante e dopo anni di ricerche sono molto più note di prima. Ci sono opere in America, a Puerto Rico, in Inghilterra, in Germania, dove in Baviera, a Pommersfelden, sono conservate le due storie di Giacobbe. Ci sono inoltre collezioni private internazionali e tantissime cose sono uscite ultimamente anche sul mercato. Sarebbe stato bello, ripeto, poter ammirare tutte queste opere in uno spazio espositivo di prestigio, qui in Irpinia. E' ovvio che queste cose non vanno organizzate nello spazio di un mattino ma esigono una programmazione. Nessuno presta un'opera senza una richiesta precisa fatta nei tempi giusti. Guarino, come tante altre cose, sconta l'attuale disorientamento che c'è in tutto ciò che in Italia si chiama amministrare la cosa pubblica».
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